Il governo delle false emergenze

Le elezioni che si stanno avvicinando, innanzitutto. E la Lega, che vorrebbe impadronirsi di Roma ladrona, inzuppa il pane nel plebeismo. Poi ci sono le frange neofasciste, Casa Pound e Forza nuova, che distribuiscono razzismo e raccolgono adepti, offrendo ai poveri ma solo italiani pacchi di farina e caffè, come faceva la vecchia Dc, pratica umiliante ma che per qualcuno è meglio di niente.


Quel che avviene a Torre Maura è un frullato di questi elementi, aggravato dall’assenza degli amministratori. Già, perché i 5 stelle, che a Roma hanno quasi tutti i municipi, quello compreso, il Comune e la Città metropolitana (sì, esiste anche quella, apparentemente clandestina: il presidente è Virginia Raggi) non si sono degnati di accompagnare la ventina di famiglie, donne e bambini per lo più, nella loro nuova dimora. Così i facinorosi, quelli che hanno dato fuoco ai cassonetti e calpestato i panini della cena, hanno buon gioco a lamentare la “scarsa comunicazione”, che invece c’è stata, se qualcuno si fosse disturbato a informarsi. Sta di fatto che il giorno dopo, dietrofront, la sindaca si guarda bene dal discutere con il presidio di via Codirossoni, e in compenso annuncia il prossimo trasferimento delle famiglie, entro sette giorni.

Non è solo questione di debolezza, l’indecorosa ritirata. Il fatto che è che non c’è altro posto dove ci sia la garanzia che non avvenga un’altra rivolta. Virginia Raggi non se lo ricorderà, ma negli anni 90 l’allora assessore democristiano fece una sorta di via crucis nelle periferie romane: di fronte all’intenzione di fare un campo nomadi saranno state quindici le rivolte nelle quindici periferie coinvolte, e alla fine i rom hanno dovuto arrangiarsi, sotto i ponti. Questa è la questione, le persone non si cancellano: hanno dei diritti, persino. Questa volta, a Torre Maura, non si tratta nemmeno di un campo, situazione indecorosa e più che criticabile, ma di un edificio in muratura: proprio quello che è necessario per iniziare un percorso di normalità nella vita di persone che normalità non l’hanno mai avuta.


“Dovete bruciare”, “dovete morire di fame”, hanno urlato dal presidio dei bravi cittadini. “Non siamo razzisti. Ma il fatto è che loro non sono civili” ha sussurrato alle telecamere una gentile signora che, immagino, magari andrà in chiesa tutte le domeniche ad ascoltare le parole “ama il prossimo tuo”. Che ci sia uno stigma sui rom è chiaro, e non da oggi. Fa parte dell’inefficienza e dell’insulsaggine della sindaca il non prevederlo e l’arrendersi di fronte alla minaccia. Elettorale, certo: le minacce vere sono per quelle mamme i loro bambini. Per i 5 stelle, che qui hanno fatto man bassa di voti alle scorse elezioni, c’era un solo modo di spegnere la miccia, quello che dovrebbe fare ogni buon amministratore: andare davanti alla struttura, spiegare cosa si sta facendo e perché e con quali soldi, chiedere ai manifestanti come migliorare il loro quartiere. E già, perché una volta andati via i rom, il quartiere non sarà migliorato di una virgola, e i facinorosi ripiomberanno nell’incuria e nell’abbandono che hanno dato probabilmente l’avvio di questa giostra disumana.

L’accoglienza cattiva, l’accoglienza buona. Opposta, ma non poi tanto, è la vicenda di Mimì Lucano, il sindaco di Riace accusato di mille nefandezze e rimosso, addirittura con divieto di residenza nel suo paese. Qui c’è un sindaco che dell’accoglienza invece ha fatto la sua bandiera, ed è entrato nel mirino della procura. Ieri la Cassazione ha depositato la sentenza con cui rinvia al Tribunale del riesame di Reggio Calabria le accuse a Lucano: non ci sono atti o comportamenti illeciti o fraudolenti nella gestione dei rifiuti, non favorì matrimoni di comodo, cercò solo di aiutare la sua compagna Lemlem. Non avevamo dubbi.


Intanto però quell’esperimento innovativo di accoglienza è stato smantellato, attorno a Riace si è rifatto il vuoto; anzi, nel frattempo l’intero sistema Sprar non c’è più. E nonostante questo, a Roma, un centro di accoglienza per minori a Villa Spada induceva i ragazzi a fuggire lucrando però la retta: sedici arresti. Segno che il malaffare alligna, nell’indifferenza.
L’accoglienza di Mimì Lucano non è costata un euro più del dovuto, eppure è stata distrutta. Perché è utile alla Lega e ai suoi alleati veri, quelli che soffiano sul fuoco dell’intolleranza e del sovranismo, che migranti e rifugiati legali ripiombino nella clandestinità, e non trovino dove stare e come. Più gente dormirà sotto i ponti, più ci sarà odio da propagandare, e consenso da mietere.
Invece di agitare un’emergenza inventata come quella dei migranti, se il governo e il suo ministro dell’Interno volessero parlare delle questioni vere – la povertà cronica, l’assenza di lavoro, le disuguaglianze, la sicurezza dalle cosche, una sanità dignitosa – non avrebbero le carte in regola. Ad esclusione del reddito di cittadinanza e di quota cento, in realtà non si è fatto nulla. Ma proprio nulla.

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